Oggi abbiamo il piacere di presentarvi la
nostra prima rubrica, senza vincoli di spazio e tempo, dedicata agli autori che vogliono
dire la loro fuori dai romanzi.
Lasciamo questo spazio a tutti coloro che, impertinenti o no, vogliono manifestare le proprie idee su qualsiasi ramo dell’editoria.
Questo è un settore talmente vasto che, a pensarci bene, potrebbe tenere
impegnati gli autori per giorni. Dalla scelta delle copertine che si
ripetono in romanzi diversi alla differenza di prezzi tra ebook e cartaceo,
dalle recensioni ‘pilotate’ alla mancanza di moralità nei romanzi (questi sono
solo piccoli esempi).
Cari autori/autrici, cosa ne pensate? Dite anche voi la
vostra opinione liberamente e senza timore su questi o altri argomenti a voi
cari! La libertà di espressione è il nostro primo comandamento!
E tanto per dare il buon esempio, la
signora italiana dei Romantic Suspence - e non ce ne vogliano le altre!! -,
Monica Lombardi, inaugura la nostra rubrica.
Considerazioni
sparse sull’antica e attuale dignità dello story-telling
Quando
Karin mi ha chiesto di scrivere due righe per inaugurare questa rubrica, non so
bene per quale motivo ho ripensato alla mia primissima presentazione, nel
dicembre del 2008. Il romanzo che presentavo era Scatole cinesi, primo volume della serie Mike Summers, e io non ero
emozionata, ero emozionatissima. Presentare un giallo, o un romantic suspense,
significa parlare molto poco del libro, della trama, magari un pochino dei
personaggi. E allora, di che cosa parlare? Durante quel primo incontro con il
mio primo pubblico decisi che, per cominciare, volevo spiegare soprattutto che
tipo di autrice fossi e volessi essere. “Io sono una story-teller, una
narratrice di storie”, credo di aver iniziato proprio con queste parole. Continuai
dicendo che non avevo la pretesa di insegnare nulla, né di illuminare sui
significati nascosti della vita, volevo solo raccontare una storia. Alcune cose
cambiano con il tempo, questa non è mai cambiata e credo che non cambierà mai.
In
un paese in cui “fa figo” parlare di sociale, affrontare drammi o trattare
Problemi con la P maiuscola, spesso ci si dimentica che raccontare storie è un
mestiere molto antico e per questo, a mio avviso, nobile e di grande dignità,
che risale addirittura a quando la cultura era ancora tramandata solo
oralmente. Troviamo quasi tutti i nostri archetipi nell’epica, che significa
appunto “racconto”. Alle corti delle popolazioni germaniche, durante i banchetti,
i guerrieri si svagavano ascoltando gli Heldenlieder, le canzoni degli eroi.
William Shakespeare, il Bardo per antonomasia, voleva intrattenere il suo pubblico,
voleva riempire i teatri; i plays
della Londra elisabettiana, capaci di smuovere folle alla domenica pomeriggio,
erano un po’ come il nostro cinema. Sono solo due esempi tra i numerosi che possiamo
trovare guardando alla storia della nostra civiltà. Intrattenere è popolare,
certo, ma questo non significa che sia più facile, o che richieda meno testa e
meno cuore.
L’uomo
ha sempre avuto bisogno di sentirsi raccontare e di veder rappresentare, prima
ancora che di leggere, storie. Perché? La risposta che mi sono data – forse
solo una delle tante risposte possibili – è che vuole ritrovare qualcosa di
simile a sé ma al contempo diverso da sé. Qualcosa in cui si possa
immedesimare, personaggi per cui fare il tifo, da amare o da odiare, come se
fossero veri. Per fare quello che nella vita non farebbe o non ha occasione di fare,
ma che ritiene in qualche modo possibile, verosimile. Credibile a qualche
livello, anche dove sentirà raccontare di altri tempi o altri mondi. Le storie
sono frammenti di vita, della nostra e di quella dei nostri simili, rimescolati
a formare un’immagine diversa ma riconoscibile, perché gli ingredienti – le
passioni e le reazioni umane – sono quelli che conosciamo. Sono i colori
primari dell’arcobaleno, che il pittore rimescola sulla sua tavolozza per
restituirci la sua personale visione della realtà. L’autore è un cuoco che usa gli
stessi ingredienti di sempre per creare piatti diversi che riescano a dare
piacere, a fare alzare il suo pubblico da tavola sazio e appagato. L’autore
come il cuoco stimola i sensi, ma stimola anche la mente e così facendo può
stupire, intrigare, emozionare, divertire. L’autore, in qualche modo, nutre la
nostra fantasia. E scusate se è poco.
Raccontare
storie è un mestiere antico, un mestiere di grande dignità, che si fa per
passione e può scatenare passioni. Che vediamo sminuire da una società in cui,
spesso, solo ciò che è serio o triste ha valore. Se le storie fanno pensare, se
fanno capire, sarà solo un effetto secondario del loro riflettere un po’ la
vita. Se divertono, se intrattengono, se emozionano, se attivano
l’immaginazione, se fanno guardare al di là della stanza in cui ci si trova
avranno raggiunto il loro scopo. L’autore avrà raggiunto il suo scopo e sarà un
autore felice.
E' un piacere leggere Monica..in qualsiasi formato e su qualsiasi argomento!
RispondiEliminaGrazie Antonella <3
EliminaGrande Monica, e grandi ragazze!
RispondiEliminaGrazie Christiana <3
EliminaBello il paragone dello scrittore con cuochi e pittori; tutti emozionano e creano
RispondiEliminaE tutti hanno sempre i soliti ingredienti a disposizione, ma infiniti modi di combinarli :)
EliminaCiao Teresa!
Grazie Monica per aver condiviso con noi questo tuo pensiero.
RispondiEliminaIl ruolo del "narratore" a volte si perde per strada e questo è un peccato.
Grazie a tutti voi che, con le vostre storie, fate vivere a noi lettori emozioni indimenticabili e storie fantastiche ♥
E grazie a voi lettori che le leggete! I nostri personaggi rimarrebbero imprigionati tra le pagine, fisiche o virtuali degli e-reader, se voi non le apriste per incontrarli :)
EliminaRubrica interessante
RispondiEliminaGrazie Alessandra! :)
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